XXI Anniversario della Convenzione N.U. sui Diritti dei Minori
L’adulto e il bambino
L’adulto e il bambino, fatti per amarsi e convivere armoniosamente, si trovano in lotta continua per l’incomprensione che corrode le radici della vita e si sviluppa in un groviglio di azioni e reazioni.
L’adulto ha una missione da compiere, così complicata e intensa, che gli diventa sempre più difficile sostenerla, adattandosi al ritmo del bambino e alle sue necessità psichiche di sviluppo. L’ambiente sempre più complicato e dinamico dell’adulto è inadatto al bambino; lentamente la civiltà ha sottratto l’ambiente sociale al bambino, che non può vivere attivamente e nessuno pensa alla necessità di creargli un ambiente di vita adatto.
Il bambino, che è un essere naturale per eccellenza, vive materialmente accanto all’adulto e si trova, in ogni famiglia, associato alle più diverse condizioni di vita. Egli tuttavia rimane sempre estraneo all’attività sociale dell’adulto; bisogna far penetrare nella nostra coscienza il principio che il bambino è fuori della possibilità di partecipare all’attività sociale dell’adulto. Nel mondo in cui entra nascendo, il bambino è un extrasociale per eccellenza, intendendo come tale una persona che non può adattarsi alla società, che non può prendere parte attiva all’opera produttiva di essa né alla regolarizzazione delle sue organizzazioni e che pertanto costituisce una perturbazione dell’equilibrio stabilito. Il bambino infatti è un essere extrasociale, che disturba sempre, là dove si trovano gli adulti, persino in casa dei propri genitori.
La sua mancanza di adattamento è aggravata dalla circostanza di essere attivo e incapace di rinunciare alla propria attività. Perciò si tende a combatterlo, obbligandolo a non intervenire, a non dar fastidio, cercando di ridurlo alla passività.
Procedente dal nulla, il piccino penetra nella famiglia dell’adulto. Questi in suo confronto, è grande e potente come un dio, è l’unico che gli può fornire il necessario per vivere. L’adulto è il creatore, la provvidenza, il dominatore, l’esecutore. Mai nessuno è dipeso da un altro in maniera così totale e assoluta come il bambino dipende dall’adulto.
Se l’adulto considera il bambino, lo fa con quella logica che mette nella sua stessa vita: vede in lui un essere diverso e inutile e lo allontana da sé; ovvero, con ciò che si chiama educazione, fa uno sforzo per attirarlo direttamente nell’orbita della sua vita. L’adulto esibisce innanzi ai bambini la propria perfezione, la propria maturità, il proprio esempio storico, chiedendo al bambino di imitarlo. E quanto all’ambiente per accogliere il suo piccolo, l’uomo, l’architetto, il costruttore, il produttore, il trasformatore dell’ambiente, fa per il suo bambino meno di un’ape, meno di un insetto, meno di qualunque creatura.
I diritti del bambino
Molto si è parlato dei diritti dell’uomo, e specialmente dei diritti del lavoratore, ma è giunto il momento di parlare dei diritti sociali del bambino. La questione sociale dei lavoratori è stata fondamentale per le trasformazioni sociali, poiché l’umanità vive unicamente del lavoro umano. Ma se l’operaio produce ciò che l’uomo consuma e crea nel mondo esteriore, il bambino produce l’umanità stessa, e pertanto i suoi diritti ancora più palesemente esigono trasformazioni sociali. E’ evidente che la società dovrebbe prodigare ai bambini le cure più perfette e più sagge, per ricavarne maggiori possibilità per l’umanità futura.
Ma la società non si preoccupò affatto del bambino, lo ignorava lasciandolo esclusivamente alle cure della famiglia. La civiltà progredì considerevolmente dal punto di vista delle leggi a favore dell’adulto, ma lasciò totalmente privo di difesa sociale il bambino. La società, fin dai tempi più remoti, s’è disinteressata del tutto dei piccoli operai cui la natura ha confidato la missione di costruire l’umanità. E solo quando le statistiche rivelarono l’altissima media della mortalità infantile durante il primo anno di vita, si produsse una profonda impressione e quel fenomeno fu chiamato “strage normale degli innocenti”.
Osservazioni scientifiche compiute nelle scuole diedero un’altra impressionante rivelazione delle sofferenze dei bambini. Si riconobbe allora che, oltre alle malattie infettive per mancanza d’igiene, essi soffrivano anche di malattie causate dal loro lavoro: nella scuola, dove i bambini sono esposti ad un tormento obbligatorio per imposizione della società. Il petto stretto era causato dalla necessità di piegarsi per lunghe ore sui banchi a leggere e a scrivere; la colonna vertebrale si piegava a causa di quella posizione forzata, la miopia nasceva per il prolungato sforzo di usare la vista senza luce sufficiente, e infine tutto il corpo si deformava e soffriva per la lunga permanenza in locali stretti e affollati.
Gli studi erano pesanti e i bambini, costretti tra il tedio e il timore, avevano la mente stanca e il sistema nervoso esausto. Erano pieni di pregiudizi, disanimati, malinconici, viziati, senza fiducia in se stessi e senza la luminosa gioia dell’infanzia.
Tanta ingiustizia rivelarono quelle prime investigazioni, che ne sorse una vera rivoluzione sociale, e le scuole e i loro regolamenti andarono rapidamente modificandosi.
In tutta la pedagogia antica, fino ai nostri giorni, la parola educazione fu sempre sinonimo di castigo, e il suo scopo fu quello di sottomettere il bambino all’adulto che si sostituì alla natura mettendo i propri fini e volontà al posto delle leggi della vita. C’è una raffinatezza moderna di crudeltà nel principio ideale di riunire la famiglia e la scuola in uno stesso simulacro d’educazione: principio che si risolse nell’organizzare la scuola e la famiglia per il castigo e il tormento del bambino. In questi casi non c’è difesa possibile. A quale tribunale potrà appellarsi il bambino, come invece possono fare i condannati per qualsiasi delitto? Non esiste un tribunale d’appello per lui.
Benché l’uso dei castighi vada rapidamente scomparendo nelle famiglie evolute e coscienti, tuttavia non è scomparso del tutto, e le maniere rozze, la voce dura e minacciosa costituiscono il trattamento più comune usato dall’adulto nei riguardi del bambino. Eppure si sono aboliti i castighi corporali per gli adulti, perché avviliscono la dignità umana e sono una vergogna sociale. Ma esiste villania maggiore dell’offendere e battere un bambino?
Il primo passo, il più difficile in ogni movimento sociale per il progresso collettivo, consiste nel tremendo compito di risvegliare l’umanità addormentata e insensibile, costringendola ad ascoltare la voce che la chiama. Il maggior delitto che la società commette è quello di sciupare il denaro che dovrebbe usare a favore dei suoi figli e che invece dissipa per distruggerli e per distruggersi. L’adulto spende e costruisce per sé, mentre è evidente che buona parte della sua ricchezza dovrebbe essere destinata al bambino. In natura, tra le specie animali, non esiste nessun esempio di adulti che divorano ogni cosa e abbandonano la propria prole nella miseria.
La missione dei genitori
E’ necessario che gli adulti si organizzino nuovamente non per sé, questa volta, bensì per i loro figli; è necessario che alzino la voce in nome d’un diritto che l’abituale cecità rende invisibile, ma che, una volta affermato, s’imporrà indiscutibilmente. Importantissima è la missione che spetta ai genitori: essi soli possono e debbono salvare i loro figli, perché possiedono i mezzi per organizzarsi socialmente, e quindi per agire praticamente nella vita sociale. La loro coscienza deve intendere la forza della missione che la natura ha loro affidato, missione che li colloca al primo posto nella società e che li rende i dominatori di tutte le situazioni materiali, dato che nelle loro mani sta il futuro dell’umanità: la vita.
Maria Montessori: Il segreto dell’infanzia, sintesi della redazione