UNA PICCOLA DONNA GRANDE
Vorrei ricordare oggi suor Cécile Nyiragasani, una suora dell’ordine delle Piccole sorelle di Gesù, che a Kigali durante il genocidio dei Tutsi, nel 1994 ha salvato 30 bambini dall’essere trucidati coi loro genitori e altri trenta ne ha accolti negli anni immediatamente a seguire, secondo le segnalazioni che le arrivavano da persone di cuore, che tuttavia non osavano farsi carico loro stesse di quei piccoli, per la minaccia che gli Hinterhamwe (estremisti Hutu) rivolgevano a chiunque aiutasse un sopravvissuto Tutsi.
Suor Cécile era di etnia Hutu – piccola di statura ma di anima immensa – e come tale in grado di trattare alla pari con gli Hinterhamwe che ogni giorno, con i mitra puntati, minacciavano di uccidere lei e tutte le consorelle, se non permettevano loro di entrare e uccidere le famiglie Tutsi cui avevano dato rifugio.
Lo sapevano per certo (c’era sempre qualche vicino pronto a fare la spia) ma Cécile negava, e negavano le consorelle.
Invece si nascondeva nel convento una decina di famiglie, i cui membri passavano le ore del giorno stesi sulle travi che sostenevano il tetto della Chiesa, da cui scendevano solo di notte per soddisfare i bisogni vitali.
Ma l’inganno non poteva durare a lungo.
Forse Cécile non avrebbe mai ceduto, nemmeno a prezzo della propria vita e così le consorelle – quelle piccole, grandi, sorelle di Gesù – ma furono i genitori stessi a decidere di consegnarsi agli Hinterhamwe, nel contempo pregandola di intercedere perché i loro figli fossero risparmiati.
E a lei chiesero la promessa che si sarebbe presa cura dei loro piccoli.
Così fu: madri e padri furono trucidati nel patio a impluvio che caratterizza tutte le missioni in Africa, mentre a non più di tre-cinque metri di distanza, chiusa in una stanza, Cècile stringeva a sé quei trenta bambini terrorizzati che udivano le grida dei genitori mentre venivano massacrati a colpi di machete.
C’è un modo caratteristico in Rwanda, in cui i bambini salutano le donne adulte, le loro madri o altre “maman” che siano: arrivano correndo, ti cingono la vita con grazia e delicatezza e poggiano il capo sul tuo ventre.
A me è capitato di contare più di una decina di testine appoggiate l’una sull’altra mentre le loro braccine mi cingevano la vita.
Quei bambini che suor Cécile ha salvato oggi sono cresciuti, sono diventati donne e uomini, hanno studiato, si sono laureati. Alcune/alcuni si sono sposati, hanno avuto dei figli e li ho visti, coi loro bimbi ben assicurati alla schiena delle mamme, mentre andavano a trovare Suor Cécile.
Oggi Cécile non c’è più. Se ne è andata il 4 febbraio dello scorso anno e ho avuto la fortuna di passare molte ore con lei nell’agosto 2018.
Il suo pensiero era sempre per “les enfants”, anche se ormai la gran parte di loro si avviano alla trentina, quando non l’abbiano già superata.
E mi piace ricordarla così, piccola donna così ricca d’intelligenza e d’amore, mentre due dei suoi ragazzi (che la superavano ben più di una testa) la salutavano, in ginocchio sulla terra rossa dell’Africa, cingendole la vita e poggiando il capo sul suo ventre.