Peter Brook
PETER BROOK E L’UOMO UNIVERSALE
Nel maggio del 1971 in Iran, durante Festival di Persepolis–Shiraz che celebrava i 2500 anni della conquista di Babilonia da parte di Ciro Il Grande, il neonato CIRT (Centro Internazionale di Ricerche Teatrali) fondato e diretto da Peter Brook, esordì con uno spettacolo grandioso e rivoluzionario: Orghast.
Iniziò così, condotta da Peter Brook e dal CIRT, quella grande ricerca che continua tuttora di un teatro che abbia al centro l’essere umano al di là dei limiti nazionali ed etnici e in cui le radici della comunicazione gestuale, vocale e corporea affondino in quella sensibilità umana che viene prima di ogni differenziazione culturale.
“Nel teatro, i momenti che rompono i limiti della consapevolezza ordinaria sono doni di vita, e il loro peculiare valore sta nel fatto che sono condivisi: per un momento l’individuo è elevato a uno stato di comunione con gli altri. Sono momenti culmine che si raggiungono perché vi è un processo in atto, in cui ogni cosa trova il suo posto: temi, tecniche, talenti. Quello che conta per me è l’accrescimento del livello di percezione, per quanto breve possa esserne l’esperienza.“
Peter Brook nasce a Londra il 21 marzo 1925. Come regista teatrale debutta a soli diciotto anni, nel 1943, con “Il dottor Faustus” di Christopher Marlowe e inizia una carriera che lo vede confrontarsi in Gran Bretagna con un repertorio classico e moderno assai vario, e lavorare con i più grandi attori inglesi, da John Gielgud (“Misura per misura” 1950) e Paul Scofield (“Amleto” 1955). Con Laurence Olivier firma nel 1953 la regia del film “Il masnadiero” e nel 1955 quella teatrale di “Tito Adronico”. Ma è dalla sua rilettura di Shakespeare negli anni ‘70 che viene il contributo più originale; storica è la messa in scena nel 1970 di “Sogno di una notte di mezza estate”, che seguiva un’altra messa in scena di rilevanza internazionale: il “Marat Sade” di Peter Weiss, con Glenda Jackson.
Nel 1971 mette in scena a Persepoli “Orghast” con un cast internazionale di attori che recitavano in un vasto scenario naturale, in una lingua immaginaria, elaborata dal poeta inglese Ted Hughes. Nello stesso anno fonda il CIRT (Centro Internazionale di Ricerca Teatrale) con cui nel 1974 si trasferisce a Parigi, nel teatro Les Bouffes du Nord, luogo di tutti i suoi spettacoli successivi, che segnano un modo nuovo di fare teatro: non solo stabilendo un rapporto diverso tra testo e messa in scena, tra regista e attori, ma anche coinvolgendo attrici e attori di etnie, nazionalità e culture diverse non in modo accessorio o casuale, ma come caratteristica fondante della ricerca di quella “qualità umana” che è il fine ultimo del teatro di Peter Brook.
Dalla fondazione del CIRT, il suo spettacolo più famoso è stato il “Mahabarata”, in cui venticinque interpreti di diverse nazionalità, rappresentative di tutti i continenti del pianeta, interpretavano il principale poema della mitologia indiana. Seguì poi “La Tempesta” di Shakespeare, in cui per la prima volta il protagonista Prospero venne interpretato da un africano, il Griot del Mali Sotigui Kouyaté. La ricerca teatrale portò poi Brook a mettere in scena, oltre ai classici di Beckett “Giorni felici” e “Aspettando Godot”, testi di saggistica drammatizzati, come “L’uomo che scambiò sua moglie col suo cappello” del neuropsichiatra anglo-americano Oliver Sacks, e “Una memoria prodigiosa” del neuropsicologo russo Aleksander Lurija, o testi teatrali contemporanei come “Voza Albert!”. Il suo ultimo spettacolo è l’opera lirica “Il Flauto Magico”, di W.A.Mozart, interpretato da una troupe di giovani cantanti e musicisti.
“Un attore deve prima di tutto lavorare sul proprio corpo, affinché esso diventi aperto, affidabile e coerente in tutte le sue reazioni; poi sviluppare le sue emozioni, in modo che esse non rimangano al livello più basso. Un attore è qualcuno che si sia aperto in ogni sua parte, che abbia sviluppato se stesso a tal punto che potrà aprirsi a tutto: con il suo corpo, la sua intelligenza, i suoi sentimenti; qualcuno in cui nessuno di questi canali sia chiuso, ma tutti questi motori funzionino insieme al cento per cento.”
Libri di Peter Brook:
Lo spazio vuoto, 1998
Il punto in movimento: 1946-1987, 1988
La porta aperta, 1994
I fili del tempo: memorie di una vita, 2001
I miei Shakespeare, 2002
Dimenticare Shakespeare, 2005
Segnaliamo inoltre:
Yoshi Oida, L’attore fluttuante, 1993
George Banu, Da Timone d’Atene a La tempesta, 1994
Isabella Imperiali, La lezione shakespeariana di Peter Brook, 2002