Maria Montessori, la madre italiana del Metodo Google

Cent’anni fa la pedagogista italiana sbarcò a New York. E oggi si scopre quanto sia viva negli Usa la sua influenza

Un inizio comune unisce spesso le storie dei grandi personaggi che hanno cambiato l’America: una nave che arriva dall’Europa ed entra nella baia di New York, salutata dalla Statua della Libertà. Per gli immigrati poveri il viaggio aveva una sosta obbligata a Ellis Island. Per un’elegante signora italiana che un secolo fa arrivò sul panfilo “Cincinnati”, invece, lo sbarco fu con tutti gli onori, con tanto di giornalisti e fotografi in attesa su un molo di Manhattan.

Nel 1913 Maria Montessori fu accolta come una regina, ponendo le basi per la futura diffusione del suo metodo pedagogico in tutti gli States. In nessun altro Paese le scuole Montessori hanno avuto una diffusione capillare e un successo come negli Usa. Cento anni dopo quel primo sbarco, intere generazione di «bambini Montessori» si sono fatti strada nella società americana, infiltrandola con le idee della professoressa di Chiaravalle (Ancona). Tra questi spicca una nutrita schiera di protagonisti del web come Jeff Bezos, fondatore di Amazon, Jimmy Wales, il creatore di Wikipedia, e soprattutto Larry Page e Sergey Brin, che a Mountain View in California guidano l’incarnazione digitale del metodo Montessori: Google.

Il cammino che conduce dalla New York di inizio secolo scorso alla Silicon Valley odierna, è stato travagliato per gli insegnamenti della studiosa italiana. Quando la Montessori arrivò in America la precedeva la fama europea, che aveva già portato nel giro di un paio di anni alla nascita negli Usa di un centinaio di scuole ispirate al suo metodo. In anni in cui l’insegnamento era dominato dalle regole del rigido autoritarismo dalla cattedra, molti americani si lasciarono conquistare dalla proposta pedagogica di lasciare spazio alla creatività innata dei bambini, favorendo attraverso il gioco il carattere e i diversi tempi di apprendimento di ciascuno. Alexander Graham Bell, l’inventore del telefono, fu tra i primi a sostenere la bontà dell’approccio montessoriano: una “sponsorizzazione” che sembra confermare, un secolo prima di Amazon e Google, come si tratti di un metodo capace di colpire soprattutto l’immaginazione di creativi e innovatori.

Al suo arrivo a Manhattan, Maria Montessori trovò ad accoglierla intere pagine del “New York Times” in cui si dibatteva su di lei, con editorialisti e lettori divisi tra lodi sperticate e critiche durissime. Il “New York Tribune” la definì “la donna più interessante d’Europa”, mentre il “Brooklyn Daily Eagle” la presentò ai lettori come “una donna che ha rivoluzionato il sistema educativo del mondo”. La Montessori girò in lungo e in largo gli Usa per i due anni successivi, con ripetuti viaggi dall’Italia, tenendo conferenze e corsi di addestramento per chi voleva seguire il suo metodo.

Eppure dopo breve tempo l’entusiasmo si smorzò e i critici della studiosa italiana, tra cui molti seguaci dell’influente John Dewey, ebbero successo nell’attaccare alla radice le sue proposte. Quando Maria Montessori morì nel 1952, era praticamente dimenticata negli Usa. Poi, un decennio dopo, si cominciò a parlare di nuovo di riforme scolastiche e l’America si lanciò nella riscoperta del metodo Montessori, con una crescita esplosiva del numero di scuole a lei dedicate. Oggi più di 5 mila scuole Montessori, delle oltre 20 mila sparse nel mondo, si trovano negli Stati Uniti. Quasi sempre si tratta di scuole private, anche abbastanza costose, che conquistano i genitori americani per l’originalità del loro approccio: classi con età miste, enfasi sulla sperimentazione e sul gioco, poca ossessione per i voti e i test, incoraggiamento a “sfidare” gli insegnanti e a mettere in discussione ciò che propongono.

Ed è questo il terreno fertile che ha dato vita a Google. Larry Page si è formato alla “Montessori Radmoor” di Okemos (Michigan), Sergey Brin alla “Paint Branch Montessori” di Adelphi (Maryland). Quando si sono incontrati la prima volta a Stanford, si sono riconosciuti subito. Marissa Mayer, una delle prime dipendenti di Google oggi Ceo di Yahoo!, racconta ancora con un misto di orrore e ammirazione i vari eventi pubblici in cui Larry e Sergey sembravano fare a gara per sfidare il protocollo. Inclusa la volta in cui a Londra scandalizzarono il principe Filippo a cena al St.James Palace, bevendo gli sciroppi alla frutta che servivano come guarnizione per il soufflé. Alla Meyer che cercava di spiegare il loro uso corretto, i due fondatori di Google risposero come hanno fatto più volte in circostanze analoghe: “E chi lo dice? Siamo i bambini della Montessori, siamo stati addestrati ed educati a mettere in discussione l’autorità”.

Page e Brin hanno raccontato al loro miglior biografo, Steven Levy (“Rivoluzione Google”, Hoepli), come il metodo Montessori abbia segnato le loro scelte nel creare un’azienda diversa da ogni altra. E anche nell’arredarla. Il “Googleplex” di Mountain View è in definitiva un gigantesco asilo Montessori per adulti, con palle colorate da pilates sparse dovunque, frigoriferi pieni per soddisfare ogni esigenza gastronomica e tempo libero retribuito ai dipendenti per “inventare qualcosa”. “Il metodo Montessori – ha raccontato Brin a Levy – insegna davvero a fare le cose da soli e a pianificare ogni cosa con il proprio ritmo”.

“La scuola per me è stata un ambiente divertente e giocoso, proprio come questo”, ha aggiunto Brin, indicando a Levy l’ufficio con tappeto in erba sintetica, attrezzi sportivi, tavoli da gioco e tute da astronauta dal quale i due più celebri “bambini Montessori” del mondo guidano una società da 100 miliardi di dollari che ha cambiato non solo l’America, ma le vite di tutti noi. Nel segno di Maria Montessori.

“Maria Montessori, la madre italiana del Metodo Google”, Marco Bardazzi, La Stampa, 11 luglio 2013

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