Don Milani, un grande Maestro
Il 27 maggio del 1923 nasceva Don Milani. Una famiglia dell’alta borghesia fiorentina, un fascino che incantava molte ragazze, una inquietudine dentro che, a venti anni, lo portò al sacerdozio.
E poi: fu maestro. O troppo amato, da farne un mito. O troppo odiato, da stigmatizzarlo con epiteti quale “mascalzone”, o con espressioni tipo “La sua utopia si è realizzata, purtroppo”.
Bisognerebbe leggere le sue lettere, le sue invettive, anche; bisognerebbe conoscere le testimonianze dei suoi allievi. Ci si accorgerebbe quanto, proprio oggi, la sua lezione sia viva. Perché oggi, con la scuola dominata dalla cultura dell’aziendalismo e del permissivismo, Milani ci permette di recuperare il valore di un insegnamento che vada oltre la trasmissione di notizie puntando a risvegliare curiosità e pensiero critico.
Perché oggi, tempo di inevitabili trasformazioni fatte anche di immigrazioni e paure, è necessario riconsiderare la sua lezione coraggiosa in favore della dignità di tutti: «Ogni popolo ha la sua cultura e nessun popolo ce n’ha meno di un altro».
Al maestro che si è fatto testimone, esempio, non modello, riconosciamo il merito di aver intuito tematiche, e teorie, che sono oggetto della riflessione didattica più attuale: prima fra tante, l’importanza di possedere la competenza linguistica per arrivare al pensiero complesso.
Senza fare dei suoi insegnamenti un ricettario da osservare scrupolosamente, si recuperi il messaggio base che invita a partire dalla realtà, perché «I ragazzi sono tutti diversi, sono diversi i momenti storici e ogni momento dello stesso ragazzo, sono diversi i Paesi, gli ambienti, le famiglie…».
Ricordiamolo ancora con le sue parole che dovrebbero restare nei cuori e nelle menti: «…io non sono un sognatore sociale né politico: io sono un educatore di ragazzi vivi…».
Anna Rita Guaitoli