Canada, mea culpa per un secolo di abusi sui bambini indigeni
Prelevati dai villaggi, strappati alle famiglie, inviati in scuole governative per essere «civilizzati», vittime di abusi, spesso morti a causa dei maltrattamenti e sepolti in segreto: è la terribile sorte di oltre 150 mila bambini di tribù indigene del Canada, sulla quale ora il governo di Ottawa fa piena luce nel tentativo di rimarginare una profonda ferita nazionale.
«They Came for the Children» (Vennero per i bambini) è il titolo del rapporto redatto dalla commissione «Verità e riconciliazione» creata da Ottawa nel 2006, quando riconobbe per la prima volta ai sopravvissuti e ai loro discendenti danni per l’equivalente di 1,5 miliardi di euro. Per cinque anni gli investigatori della commissione hanno raccolto oltre 25 mila testimonianze di sopravvissuti, visitato circa 500 comunità indigene e ascoltato un centinaio di ex dipendenti delle scuole dove i bambini venivano portati con la forza o l’inganno. Il quadro che ne esce è agghiacciante, al punto da chiamare in causa il Dna della nazione canadese.
Tutto iniziò nel 1883, quando John Macdonald, allora premier e ministro degli Affari Indiani, spinse il governo a creare «tre scuole residenziali per i figli degli aborigeni nell’Ovest del Canada». Due vennero affidate alla Chiesa cattolica, la terza agli anglicani. Quando il ministro dei Lavori Pubblici Hector Langevin presentò il progetto in Parlamento, parlò esplicitamente: «Al fine di educare i bambini in maniera appropriata dobbiamo separarli dalle famiglie. Qualcuno potrà sostenere che è una scelta difficile ma se vogliamo civilizzarli dobbiamo farlo».
La conseguenza fu un’imponente operazione di ricerca e cattura dei bambini, letteralmente strappati ai genitori, poi rinchiusi in queste scuole dove un corpo di «educatori» impediva loro di parlare le lingue tribali o di avere contatti con i parenti.
Chi tentava di fuggire veniva braccato, quasi sempre ritrovato e riportato indietro in catene, obbligato a correre in ceppi davanti ai presidi. E una volta tornato nella scuola era soggetto a punizioni corporali come le catene alle caviglie.
Ma anche chi obbediva agli insegnanti-carcerieri veniva maltrattato, subendo abusi fisici e spesso sessuali che potevano portare alla morte. Diverse migliaia di testimoni hanno parlato di decessi frequenti di bambini che venivano sepolti nei cimiteri scolastici senza informare le famiglie. Tutto ciò è continuato fino agli Anni 70, quando le «scuole per la civilizzazione degli aborigeni» vennero abolite.
Ci sono però voluti altri 36 anni per portare le autorità a rendere pubblici racconti come questo: «A Fort Alexander negli Anni 50 i ragazzi più giovani venivano mandati dai preti per essere sottoposti al “ménage” durante il quale un sacerdote lavava loro i genitali». Una delle vittime, Ted Fontaine, ricorda che «tale pratica terminò solo quando eravamo oramai talmente grandi e forti che la determinazione nel minacciare, aggredire e perfino uccidere i nostri tormentatori, ci diede il potere di rifiutare il trattamento».
A presentare i risultati del rapporto – la cui versione finale sarà pubblicata nel 2014 – è stato il giudice Murray Sinclair, presidente della commissione, sottolineando come tali rivelazioni «offrono l’opportunità a ogni cittadino di dare il suo contributo per la riconciliazione nazionale».
Articolo di Fabrizio Molinari, La Stampa 26 febbraio 2012