Trauma e culture: cinema e teatro al TCV di Dharamsala

Il recupero della gioia

I laboratori artistici di teatro, cinema, poesia e autobiografia, come quelli tenuti al Tibetan Children’s Village di Dharamsala, s’iscrivono nella più generale ricerca di liberare o ricreare gioia in un gruppo di bambini che l’abbiano perduta. Molti adulti, soprattutto in occidente, riescono a vivere senza gioia. Per i bambini è impossibile. Senza gioia appassiscono e si lasciano morire: per un bambino, per una bambina la gioia è tanto necessaria quanto il mangiare.

Il recupero o nuove esperienze di gioia

Il punto fermo da cui partire per il recupero di bambini gravemente danneggiati nell’anima (traumatizzati, frustrati, avviliti, disperati) è che la bambina, il bambino possono superare il ritiro dalla vita solo quando si risvegli in loro il ricordo della gioia – anche di quella poca che hanno avuto – o se ne costruisca una nuova esperienza. Da quel ricordo o da quella nuova esperienza può procedere la terapia, basata sull’attenzione che l’educatore riesce a dare a ciascuno di loro.

Le occasioni di gioia

Non è detto che le occasioni di gioia siano state o siano nel presente le stesse per tutti i bambini, nello stesso tempo e alla stessa età.

E’ necessario quindi organizzare una “cornucopia” di gioie, cui ciascuna bambina, ciascun bambino possano attingere secondo i bisogni del momento e da cui possano individuare la propria, secondo il loro vissuto personale. Tanto più questa gioia sarà risanatrice, quanto più sarà stata conosciuta nei tempi da cui il trauma li ha separati. Avendone goduto, cominceranno a cercarne altre esperienze, fino ad averne dentro uno schema che li protegga dalla ricaduta nel baratro.

Ma non bisogna idealizzare l’atmosfera “gioiosa”; sarebbe una mistificazione che li farebbe ricadere nella solitudine e nel disprezzo di sé per non riuscire a parteciparvi. Occorre che, nel rapporto con questi bambini, siano manifesti (seppure controllabili) tutti i sentimenti, anche la collera.

La dinamica emotiva tra l’educatore-terapeuta e il gruppo dei pari (intendendo per tale un gruppo composto da bambini anche di età leggermente diversa) non deve essere mistificata da una falsa “positività”. Questo li porterebbe di nuovo a rifiutare la rabbia dentro di sé, e a disprezzarsi per provarla. Bisogna accettare che, nel gruppo, il bambino mostri aggressività e rifiuto delle regole, collera e disprezzo per gli altri. Solo quando si sentirà accettato anche con quel bagaglio emotivo, il bambino si sottometterà alle regole che – riconoscerà – preservano quelle esperienze di gioia di cui ha goduto e che lo legano agli altri membri del gruppo. Una precoce tendenza all’ordine e alla disciplina riporta immediatamente il bambino inquieto allo stato precedente di non-esistenza e disperazione.

Al contrario, il bambino o la bambina che – pur di essere accettati – non si ribellano apertamente, tenderanno a crearsi comportamenti di adeguamento conformista, che non permettono alla struttura profonda della loro personalità di evolvere.

Ma la distruttività di un singolo non deve mettere in pericolo la vita del gruppo. L’educatore-terapeuta deve quindi saper indirizzare verso di sé la distruttività fantasmatica degli elementi più difficili e disperdere nel gruppo tutti gli apporti positivi scaturiti dall’attività comune, senza monopolizzarne i meriti.

Avendo a che fare con bambini danneggiati e soli, circa la loro aggressività e i comportamenti provocatori, bisogna sempre pensare che più che una vera reazione a qualcosa, essi sono piuttosto una strategia volta a ottenere a qualsiasi prezzo l’attenzione dell’adulto.

Il sostegno all’educatore-terapeuta

Il lavoro dell’educatore-terapeuta con gruppi di bambini profondamente traumatizzati è faticoso, ed è per questo che la prima regola è: sostenere il terapeuta. L’attenzione e la pazienza di cui abbisogna sono infinite. E le sue difficoltà sostanzialmente tre:

- la resistenza ad affrontare un proprio vissuto doloroso, che quel particolare bambino o quella bambina richiamano

- la frustrazione davanti ai casi più gravi, che  possono generare risentimento o collera verso quella particolare bambina, quel bambino

- che la struttura in cui lavora non sia così elastica e reattiva da mutare l’organizzazione secondo i bisogni che durante il percorso terapeutico vengono individuati nel gruppo.

L’educatore-terapeuta e il bambino

I gruppi devono poggiare su una struttura agile, che sappia modificare le proprie funzioni. Quando un bambino perduto ritrova la gioia, poi la pretende: non l’ha ritrovata per perderla di nuovo. Il bisogno di felicità non può venire frustrato, pena la ricaduta nell’impotenza, nella rabbia e nella disperazione.

Inoltre, nel processo di espansione della personalità, la bambina, il bambino, hanno bisogno di entrare in un rapporto d’intimità crescente con l’adulto che si occupa di loro. Ed è solo nell’esaudire i loro desideri e nel risolvere – senza occultarli – i conflitti che si presentano, che l’adulto metterà la bambina, il bambino in grado di affrontare la vita.

Quando il bambino sarà stato rimesso sul cammino del risanamento, allora si potrà istruirlo ed educarlo come il mondo degli adulti richiede. Avendo però sempre presente che l’educazione è una convenzione sociale, i cui obiettivi e le cui modalità dipendono dai fini che una data società si propone.  Nell’educazione non c’è quasi nulla di “naturale”, ed è proprio questo che fa soffrire bambini che abbiano da poco recuperato la loro vera natura.

Non c’è nulla di naturale per un bambino o una bambina nello star fermi per sei-sette ore nel chiuso di una stanza ad apprendere dai libri; né è naturale il loro sforzo per essere apprezzati e accettati da un adulto a scapito del gruppo. Questa è la prima distorsione da affrontare con bambini che non hanno altra speranza di sopravvivenza e di felicità se non nel gruppo dei pari. Per correggerla bisogna rendere più consistente e forte il gruppo. In genere invece l’intervento dell’adulto – soprattutto nei laboratori teatrali –  distrugge alle fondamenta la solidità del gruppo, perché tende a concentrare sull’adulto tutta l’autorità e l’attenzione, facendo dei bambini i suoi imitatori.

La gratuità della gioia

E’ quella del bambino che è amato perché esiste, non perché si sforza a fare cose meritevoli d’attenzione e d’amore: io valgo perché quando la persona che si prende cura di me si china su di me, io vedo nei suoi occhi una gioia. E questa gioia si riverbera su tutta la personalità della bambina, del bambino, che si percepiscono come capaci di dare gioia. I bambini di cui noi ci occupiamo hanno bisogno di questa gratuità della gioia.

L’ammirazione

Se la gioia gratuita è il primo elemento per la ricostruzione di una personalità danneggiata, il secondo è l’ammirazione dell’educatore-terapeuta.

Occorre che, nei bambini di cui si occupa, l’educatore genuinamente ammiri una loro qualità; solo allora potrà chiedere la disciplina della responsabilità. L’ammirazione del terapeuta dà ai suoi bambini un’immagine diversa di se stessi, in cui possono coltivare il proprio auto-valore.

Ma non in tutti i bambini è facile trovare una qualità da ammirare; in alcuni esse sono così nascoste, che è difficile renderle manifeste. Ma quando questo accade, lo sguardo, il sorriso dell’educatore/terapeuta, il suo modo di poggiare la mano sulla spalla, equivalgono a un apprezzamento.

La sincerità

La gioia gratuita e l’ammirazione devono avvenire nella sincerità. Non bisogna mai mentire, sforzarsi di mostrare che…, o fingere sentimenti che non si provano davvero. Quei bambini si disorientano subito. L’apprezzamento autentico, l’ammirazione sincera del terapeuta sono il loro cemento armato.

La soddisfazione dei bisogni

Il terzo elemento per la ricostruzione della personalità danneggiata dal trauma è la soddisfazione dei bisogni. E qui, come per le occasioni di gioia, bisogna entrare sul piano strettamente personale.

Tutti questi bambini hanno avuto un’interruzione violenta in quell’evoluzione dei loro bisogni che è in definitiva il modo in cui si struttura la personalità individuale. Bisogna rimettere in moto il processo bisogno/soddisfazione del bisogno, esattamente da dove si è interrotto. A volte addirittura da prima. Non bisogna aver paura di soddisfare bisogni che possono apparire “retrogradi”.

Custodire i ricordi

Un bambino senza ricordi sarà un adulto senza radici; quando ci occupiamo di bambini sradicati dal loro ambiente e separati dalle loro famiglie, quello del recupero e della conservazione della memoria è un problema che va affrontato fin dall’inizio. Il passato diventa una nebulosa incerta in cui non si orientano più. Bisogna allora prendersi il compito, per quello che si può, di custodire i loro ricordi sia parlando con loro sia aiutandoli a scrivere della loro vita di oggi, di ieri e di quella futura. Molti ricordi felici si annidano nel passato: la scrittura aiuta a farli riemergere.

L’esercizio di scrittura è comunque utilissimo: appena s’instaura un rapporto emotivo significativo con un adulto, questi bambini (la cui determinazione a progredire è fortissima) sono felici di venire corretti (questo non blocca affatto il loro apprendimento, anzi viene vissuto come un atto di affettuoso interesse) e si aprono sia ai ricordi sia all’espressione dei propri desideri.  E da quel passato ricostruito con carta e penna, riemergono ricordi felici.

Con l’avvertenza, per l’adulto, che con questi ragazzi ci vuole un tatto estremo. Lo sforzo è quello di creare  occasioni in cui trovino l’agio di parlare di sé spontaneamente, senza dover dover rispondere a domande troppo precise su quello che li fa soffrire nel profondo: mentirebbero.

Enrica Baldi, responsabile artistica e scientifica di “tenera mente – onlus “, intervento al Convegno di Psichiatria Transculturale, Ospedale Sandro Pertini, Roma, 3 maggio 2010.

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